Credito coop da rifondare. C’era una volta la Cassa Rurale

l’Adige, 29 gennaio 2020

Mai e poi mai avrei immaginato di dover scrivere un articolo come quello che segue. Per la verità sarebbe sufficiente il titolo per far capire quello che penso ma correttezza impone di argomentare più dettagliatamente e compiutamente le mie preoccupate riflessioni in un contesto che si arricchisce di giorno in giorno di interrogativi e perplessità.
E sono proprio gli interrogativi senza risposta che mi creano disagio, perplessità e, a volte, inquietudine.
Mi sono chiesto e continuo a chiedermi:
PERCHE’, come ho avuto modo di affermare in un mio articolo del dicembre di due anni fa, nessuno ai vertici delle nostre istituzioni autonomistiche, del mondo della cooperazione, delle formazioni politiche e sociali si è allarmato e attivato per impedire quell’improvvida riforma del credito cooperativo che ha determinato un vero e proprio sradicamento dei principi, dei valori e delle finalità sociali del mutualismo cooperativo e quindi la morte improvvisa delle casse rurali?
PERCHE’ i vertici del credito cooperativo trentino, nel momento in cui sollecitavano processi di fusione e aggregazione delle casse rurali per creare massa critica e maggiore autorevolezza, si sono poi impegnati con una buona dose di presunzione a dare vita ad un polo nazionale alternativo che, inevitabilmente, ha come immediata conseguenza quella di indebolire l’assetto nazionale esistente il quale, proprio grazie ad una massa critica più dotata, avrebbe potuto con più efficacia svolgere le proprie funzioni istituzionali e di garanzia?
PERCHE’ in una comunità, come quella trentina, che gode di un’autonomia speciale forte e collaudata, i vertici del credito cooperativo aspirano apertamente ad uscire dal contesto regionale e quindi da un sistema legislativo e di controllo d’ispirazione autonomistica per assumere la veste di istituzione nazionale?
PERCHE’ il gruppo del credito cooperativo trentino (ormai gruppo bancario trentino) si è attivato con altrettanta presunzione per il salvataggio di Carige essendo al tempo stesso in difficoltà a risanare situazioni di difficoltà di singole Casse rurali trentine? Convenienza? Opportunità? Necessità?
Potrei continuare con tanti altri perché, ma credo siano sufficienti quegli esposti per colmare un vuoto di informazione e comunicazione che, se riempito con motivazioni sostanziali e credibili potrebbe dare spazio ad un dibattito, anche se tardivo, sereno ed equilibrato visto che in gioco c’è la sopravvivenza di un sistema creditizio basato sul principio della solidarietà e mutualità che coinvolge soggetti, famiglie, enti e istituzioni che da sempre hanno creduto e ancora credono che “insieme si può” pur dovendo prendere atto che è cambiato il mondo e che quindi è necessario che anche la cooperazione si adegui. Mi auguro che un’eventuale risposta non si limiti a ribadire che è cambiato il mondo perché l’indiscusso cambiamento non ha certo fatto venir meno le ragioni e le finalità per le quali più di un secolo fa sono state istituite le Casse rurali.
Detto questo, va anche riconosciuto che le decisioni finora assunte sono state supportate da un ampio consenso della base sociale delle singole cooperative di credito (a prescindere dall’assemblea che ha riguardato la fusione delle Casse rurali di Trento e Lavis che meriterebbe un approfondimento a parte). Dal punto di vista strettamente formale e di legittimità non si può non riconoscere ai vertici provinciali del credito cooperativo il diritto di proseguire nell’attuazione di un progetto che, nell’assoluta indifferenza soprattutto delle classi dirigenti della comunità trentina, ha di fatto comportato la morte, mi auguro non definitiva, della Cassa rurale come è sempre stata conosciuta, apprezzato ed utilizzata dalla stragrande maggioranza dei trentini.
Le Casse rurali trentine sono diventate ormai delle filiali essendo soggette ad attività di direzione e coordinamento di una società per azioni. Il tutto alla faccia della tanto decantata identità caratterizzante delle singole entità cooperative legate ai propri territori da un prezioso vincolo di conoscenza, affabilità e fiducia che, storicamente, hanno saputo distinguersi nettamente dalle banche operanti con preminenti finalità di lucro. Se è vero, come è vero, che le Casse rurali appartengono ai soci faccio veramente fatica a credere che questa sia stata la volontà espressa da chi nelle assemblee ha alzato la mano per approvare le proposte sottoposte a voto.
Il processo di radicale cambiamento si sta completando anche negli aspetti formali e d’immagine, uniformando il logo, le definizioni, la grafica, le forme di comunicazione, addirittura la ragione sociale. Nulla da fare quindi? Assolutamente no. E in tal senso mi permetto avanzare una proposta che, a mio giudizio, si inquadrerebbe perfettamente nella cornice istituzionale del nostro speciale assetto autonomistico: mettere mano ad un progetto di rifondazione del credito cooperativo trentino a dimensione regionale in unione con quello altoatesino che ha saputo salvaguardare identità, storia e prospettiva della propria funzione sociale facendo leva proprio sulle prerogative costituzionali che originano dal nostro Statuto Speciale.
Non mancano gli strumenti per perseguire questo importante obiettivo se le nostre classi dirigenti sapranno attivare le competenze legislative regionali d’intesa con quelle statali attraverso la Commissione dei dodici e la collaborazione dei parlamentari che rappresentano le Province di Trento e Bolzano.
Penso che, su questo punto, potrebbe essere d’accordo anche l’amico Mauro Fezzi che, qualche giorno fa, concludeva la sua interessante riflessione con i versi di Ungaretti: “Cessate di uccidere i morti, non gridate più…..” provvedendo a sostituire i puntini con il resto della frase che così recita “non gridate se li volete ancora udire, se sperate di non perire”.


Flavio Mosconi
già Presidente della Cassa rurale di Vermiglio
e vice presidente della Federazione trentina delle cooperative